Il contributo consortile di bonifica è dovuto solo in presenza di beneficio del contribuente

Arriva una ulteriore conferma che la debenza del contributo consortile di bonifica sarebbe prevista solo in presenza del beneficio fondiario goduto dal contribuente.

In tema di contributi di bonifica, la legittimità dell’imposizione fiscale deve derivare, non soltanto dalla fruizione meramente astratta dell’attività di bonifica dei consorzi, ma dalla fruibilità concreta, da parte dei proprietari, conseguente alla stessa imposizione solo in presenza di un beneficio fondiario per l’utente.

La mera inclusione dell’immobile esistente nel territorio del perimetro consortile non è sufficiente ai fini della legittimità della pretesa impositiva dell’ente, anche in presenza di motivazioni con riferimento a un “piano di classifica” approvato dalla Autorità regionale competente.

Il contribuente anche qualora non abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo gli atti generali presupposti che riguardano l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi, può contestare la legittimità della pretesa impositiva dell’ente assumendo che gli immobili di sua proprietà non traggono alcun beneficio diretto e specifico dall’opera del Consorzio sul quale non grava nessun ulteriore onere probatorio in quanto è esonerato dalla motivazione con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale recante i criteri di riparto della contribuenza degli immobili compresi nel comprensorio di Bonifica.

Il contribuente è sempre ammesso a provare in giudizio l’insussistenza del beneficio fondiario: sia sotto il profilo della sua obiettiva inesistenza, sia in ordine ai criteri con cui il Consorzio abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei confronti dell’onerato.

NDR. Contributo di bonifica: presupposti di esigibilità e onere probatorio 

(Riferimento: Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sentenza n. 966 del 3 aprile 2023)

Associazioni sportive: spese di pubblicità e requisito di inerenza, sentenza favorevole

La Corte di Cassazione interviene ancora una volta in materia di Associazioni sportive per affrontare il delicato tema dell’inerenza. Ancora una volta entrano in gioco le spese di pubblicità la cui deducibilità è spesso fonte di contestazione da parte del Fisco.

Ad una contribuente veniva notificato un avviso di accertamento relativo ad IRPEF per il periodo di imposta 2007. In particolare, l’Agenzia delle Entrate riteneva indeducibili per difetto d’inerenza, le spese di sponsorizzazione a favore di due associazioni dilettantistiche sostenute dalla contribuente stessa. Quest’ultima pertanto, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale competente che lo accoglieva; successivamente la CTR confermava la sentenza di primo grado.

Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria decideva di presentare ricorso per Cassazione. Essa nello specifico, lamentava l’erroneità della decisione dei giudici d’appello di ritenere inerenti i costi di sponsorizzazione delle due società dilettantistiche, all’esercizio dell’attività d’impresa della contribuente.

In questo caso, come in passato, la Suprema Corte ha sostenuto una tesi estremamente favorevole alle società ed associazioni sportive dilettantistiche. Secondo l’ordinanza n. 21333 depositata il 14 settembre scorso le somme corrisposte ai predetti soggetti, entro il limite di 200.000 euro, sono spese di pubblicità deducibili nell’anno. Si tratta, secondo del collegio giudicante, di una presunzione assoluta che non ammette la prova contraria. Pertanto, ai fini della deducibilità della spesa non è necessario dimostrare l’inerenza dei predetti oneri.

Nel caso preso in esame alla Cassazione la contestazione dell’inerenza della spesa era fondata, come spesso accade, sulla localizzazione territoriale delle società sportive. Trattandosi di società dilettantistiche che operavano in un ambito territoriale molto lontano rispetto alla localizzazione geografica e al relativo mercato “coperto” dallo sponsor, ben difficilmente sarebbero conseguite delle entrate a seguito del messaggio pubblicitario rivolto al pubblico. In pratica, nonostante la rilevante cifra corrisposta dallo sponsor ben difficilmente sarebbe conseguito un vantaggio dal messaggio pubblicitario.

La Commissione Tributaria provinciale e quella Regionale hanno accolto le eccezioni del contribuente e quindi l’Agenzia delle entrate si è rivolta alla Corte di Cassazione. Secondo il giudice di legalità è l’art. 90 della legge n. 289/2002 che, sia pure entro il limite massimo di 200.000 euro, qualifica come inerenti e congrue le spese di pubblicità. Pertanto non è necessario alcun riscontro in tal senso.

In realtà in passato è stata la stessa Agenzia delle entrata a sostenere la tesi della presunzione assoluta con la Circ. n. 21/2003. Tale presunzione opera a condizione che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine/prodotto dell’impresa. Inoltre il soggetto che riceve la somma deve avere natura di società o associazione sportiva dilettantistica e deve assumere l’impegno a promuovere il marchio o il prodotto. A tal fine sarà essenziale l’iscrizione del contribuente nel registro telematico gestito dal CONI. L’iscrizione ha natura sostanziale in quanto attribuisce alla compagine sociale la qualificazione di società o associazione sportiva dilettantistica meritevole di fruire delle agevolazioni previste dal sistema (cfr art. 90 della L. n. 289/2002). Inoltre, affinché trovi applicazione la predetta presunzione di inerenza la società sportiva deve avere concretamente svolto l’attività promozionale rispetto alla somma ricevuta. Ad esempio deve aver apposto il marchio dello sponsor sulle divise sociali o aver affisso a bordo campo lo striscione che promuove l’attività.

Split payment per i professionisti

Una delle novità contenute nella manovra approvata pochi giorni fa è l’estensione del meccanismo dello split payment a tutti i professionisti che operano con la Pubblica Amministrazione.

Dal 1° luglio prossimo, infatti, viene esteso l’ambito di applicazione del meccanismo dello split payment (scissione dei pagamenti) per tutti quei professionisti che lavorano con la Pubblica Amministrazione, con le società partecipate dalla PA e con le società quotate.

 

L’estensione del meccanismo dello split payment è prevista dal decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri dell’11 aprile scorso. L’IVA relativa alle parcelle emesse dai professionisti sarà versata all’erario direttamente dalla Pubblica Amministrazione o dalla società quotata o partecipata come già avviene da qualche anno quando a fornire il bene o il servizio è un’impresa.

Secondo le intenzioni del governo, il meccanismo dello split payment eviterebbe al professionista che emette la parcella alla Pubblica Amministrazione di incassare l’IVA e, quindi, di non versarla al fisco. Sarà infatti il committente/cliente a versare l’IVA direttamente alle casse dell’erario.

Dal punto di vista pratico, i professionisti dovranno adeguare le modalità di emissione delle parcelle e della liquidazione dell’IVA. L’imposta continuerà ad essere indicata nella parcella, ma non genererà il debito nei confronti del fisco.

Le parcelle emesse dai professionisti che operano con la PA non saranno più emesse con “IVA ad esigibilità differita”, ma in regime di “scissione dei pagamenti. Dovranno prestare particolare attenzione i professionisti che emetteranno la fattura elettronica, ricordandosi di compilare l’apposito campo destinato alle operazioni in split payment.

 

Ma non è ancora finita. La novità nella novità è che viene estesa la platea dei soggetti destinatari e dunque dei soggetti nei confronti dei quali i professionisti dovranno emettere la fattura in regime di split payment.

Si tratta di tutti i soggetti che oggi sono destinatari della fattura elettronica a mezzo SDI per obbligo, come molti enti pubblici ad oggi esclusi dalla norma, gli enti di ricerca, gli enti per il diritto allo studio, la Consip spa, la Consob, la Sogei spa, tutte le società quotate, le società controllate direttamente e indirettamente dallo Stato, le società controllate direttamente dagli enti territoriali e le società ed enti controllati dalle predette società.

L’obiettivo dichiarato dal governo con la manovra approvata nei giorni scorsi è quello di mettere in atto tutta una serie di misure volte a recuperare circa 2,1 miliardi di euro di evasione.

In realtà, a mio parere, il provvedimento adottato non porterà quasi nulla in termini di lotta all’evasione dal momento che i pagamenti dei professionisti sono perfettamente tracciati, essendo gravati dalla ritenuta d’acconto per le imposte dirette.

Con lo split payment, in pratica, verranno colpiti i professionisti come architetti, ingegneri, geometri, ma anche commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati, che già, negli ultimi anni, a causa della generalizzata crisi economica e finanziaria, hanno visto calare il fatturato fino al 40%.

Il meccanismo dello split payment esteso ai liberi professionisti, di fatto raddoppia il prelievo sulle loro parcelle. In buona sostanza, su ogni parcella emessa dal professionista, viene prelevato il 42% del valore di ogni fattura (ritenuta d’acconto 20% + IVA del 22%).

 

Si capisce subito quindi che il vero obiettivo della manovra è quello di migliorare i flussi finanziari della Pubblica Amministrazione. Per i professionisti che operano con la PA, invece, quello che si profila è un impatto sicuramente devastante, perché il venir meno della liquidità generata dall’incasso dell’IVA sulle parcelle comporterà per loro il ricorso sempre crescente a fonti di finanziamento bancario, con aggravio di oneri e interessi.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

http://www.il-commercialista-dei-professionisti.com

Nuovi adempimenti contabili per le imprese in contabilità semplificata: i registri IVA “integrati”

Di Silena Stival – 20 ottobre 2017

La legge di Bilancio 2017 è intervenuta in modo sostanziale nei confronti delle imprese in contabilità semplificata, le quali dal periodo d’imposta 2017 determinano il reddito secondo un criterio “improntato alla cassa”, così come previsto dall’art. 66 del TUIR.

Le profonde modifiche introdotte hanno richiesto la contestuale revisione delle disposizioni riguardanti gli adempimenti contabili obbligatori, disciplinati dal riformulato art. 18 del D.P.R. 600/1973.

 

Tra le tre possibili alternative previste per l’assolvimento degli obblighi contabili dal “nuovo” art. 18, le cui caratteristiche sono state approfondite nella Circolare 11/E del 13 aprile 2017 (tenuta del registro degli incassi e pagamenti in aggiunta ai registri IVA, dei soli registri IVA “integrati”, dei registri IVA senza indicazione dei mancati incassi e pagamenti – criterio della c.d. “Registrazione”) di seguito verrà analizzato il metodo dei registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti, previsto dal comma 4 dell’art. 18 del D.P.R. 633/1972.

Il suddetto comma 4 prevede, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti, l’istituzione dei registri IVA “integrati”, consentendo di utilizzare i soli registri Iva (con sparata annotazione delle operazioni non soggette ad IVA) “integrandoli” con l’indicazione cronologica degli incassi e dei pagamenti o, in alternativa, riportando a fine esercizio i mancati incassi e pagamenti.

Registri IVA “integrati” con l’indicazione dei mancati incassi e pagamenti

Il metodo utilizza i soli registri IVA: nel caso in cui l’incasso o il pagamento del documento non sia avvenuto nell’anno di registrazione, sarà necessario dare evidenza, al termine di ciascun periodo d’imposta, dell’importo totale dei mancati incassati/pagati, dettagliando gli estremi dei documenti cui si riferiscono.

 

Tutte le operazioni annotate nei registri saranno quindi di conseguenza considerate incassate e pagate, eccezion fatta per quelle riportate nell’elenco dei “sospesi” che concorreranno alla determinazione del reddito nel periodo in cui avverrà la manifestazione finanziaria.

Nel periodo d’imposta dell’incasso/pagamento, si dovrà poi annotare separatamente, entro 60 giorni dall’evento, l’importo dei ricavi e dei costi incassati/pagati nell’anno e riferiti a documenti contabili registrati in periodi precedenti, richiamando gli estremi del relativo documento (si ritiene debbano essere riportate le generalità del cliente/fornitore, numero e data del documento di riferimento, importo del costo/ricavo).

Fermo restando il rispetto dei termini di registrazione previsti dalla normativa IVA (art. 23 e ss. del D.P.R. 633/1972), la Circolare 11/E precisa i termini di registrazione delle operazioni ai fini della determinazione del reddito:

fatture-acquisto

Ad esempio, supponiamo che un’impresa adotti nel corso del 2017 il metodo dei registri Iva “integrati”.

Nel corso del periodo d’imposta non sono state incassate/pagate due fatture annotate nei registri IVA vendite/acquisti.

 

Alla fine della determinazione del reddito secondo il criterio di “cassa” nei registri IVA dovrà essere riportato rispettivamente:

  • il totale dei mancati incassi dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti attivi, registrati nel periodo e non incassati (o parzialmente non incassati) nel corso del periodo d’imposta;
  • il totale dei mancati pagamenti dell’anno con l’indicazione dei relativi documenti passivi, registrati nel periodo e non pagati (o parzialmente non pagati) nel corso del periodo d’imposta.

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti

Supponendo che nel corso del primo trimestre del 2018 l’impresa incassi e paghi le precedenti fatture, sarà necessario annotare separatamente nei registri IVA, entro 60 giorni, il relativo incasso e pagamento nei registri IVA, in tal caso:

Registro IVA vendite

registro-IVA-vendite-2

Registro IVA acquisti

registro-IVA-acquisti-2

L’applicazione di tale metodo risulta particolarmente complessa per i soggetti che applicano i regimi speciali IVA del margine per la vendita di beni usati, oggetti d’arte, antiquariato o da collezione e le agenzie di viaggio, i quali determinano l’IVA in un momento successivo a quello di emissione del documento.

La Circolare 11/E citata precisa che nel caso in cui per tali soggetti risulti impossibile determinare l’ammontare dei mancati incassi e pagamenti al netto dell’IVA, si dovrà optare per il metodo della c.d “Registrazione” prevista dal comma 5 dell’art. 18, secondo cui per le operazioni rilevanti ai fini IVA la data di registrazione coincide con il suo incasso/pagamento.

Silena Stival – Centro Studi CGN